“Un sistema energetico al 100% a fonti rinnovabili per il Nord-Est dell’Asia non è wishful thinking ma una reale opzione grazie al calo dei costi delle tecnologie per le rinnovabili e lo storage”. Lo si legge nelle conclusioni di un nuovo studio nato dalla collaborazione tra università finlandesi, giapponesi, mongole e sudcoreane. Non solo, per decarbonizzare il sistema puntare tutto su fotovoltaico, eolico e le altre fonti pulite sarebbe molto più economico e sicuro rispetto ad investire su nucleare e cattura della CO2.
Secondo lo studio “Breyer2014_North-EastAsianSuperGrid_DigestFullPaperAppendix” (allegato in basso) c’è una concreta convenienza economica ad imboccare la strada che porta al 100% rinnovabili per tutta la regione: Cina, Mongolia, Giappone e Corea (solo Corea del Sud o anche Corea del Nord a seconda degli scenari).
Il lavoro – realizzato da ricercatori della Lappeenranta University of Technology, Mizuho Information & Research Institute, E-konzal, Korea Institute of Energy Research e National University of Mongolia – indaga diversi scenari, calcolando i costi LCOE, costi del kWh “tutto compreso”, a livello di sistema che tengano conto di produzione, trasmissione ed eventuali investimenti per i sistemi di accumulo.
L’idea centrale è quella di una super-grid asiatica che valorizzi al massimo le risorse solari ed eoliche di alcune aree, come il deserto del Gobi e il Nord Est della Cina, per soddisfare il fabbisogno elettrico dei Paesi dell’area (vedi mappa sotto), ma si valutano anche scenari basati su una produzione decentrata da rinnovabili.
I risultati lasciano soprattutto un po’ perplessi: al 2020 l’area potrebbe arrivare al 100% rinnovabili sui consumi elettrici con un LCOE di soli 0,077 €/kWh per lo scenario centralizzato, basato su grandi impianti e una super-rete HVDC (ad alto voltaggio in corrente continua) e di 0,115 €/kWh per lo scenario basato sulla produzione decentrata. Al 2030 i costi previsti calano rispettivamente a 0,064 €/kWh per il modello centralizzato e 0,081 per quello più basato sulla generazione distribuita.
Il lavoro fa una serie di considerazioni sulle possibili strategie per integrare e coordinare le rinnovabili programmabili nel sistema e sulle loro conseguenze economiche. La soluzione meno costosa, come mostrano i risultati sopra, è quella di puntare tutto sulla super-rete HVDC, soprattutto perché richiede meno capacità produttiva e meno sistemi di accumulo. Gli investimenti necessari al 2020 sono stimati in 6.100 miliardi di euro per lo scenario “distribuito” contro 4.400 mld € per il “centralizzato” e al 2030 rispettivamente 4.600 e 3.800 mld €.
Cali più rapidi del previsto nelle tecnologie per lo storage, power-to-gas compreso, potrebbero però rendere meno conveniente il modello centralizzato, a favore di quello basato sulla generazione distribuita. Altro svantaggio del modello centralizzato è la necessità di realizzare grandi opere, per loro natura più soggette a ritardi e sforamenti di budget e ostacoli politici. Insomma la scelta non è facile.
Facile invece, secondo i risultati del report, è decidere se per decarbonizzare il sistema energetico convenga puntare su sole, vento, biomasse o su fonti come il nucleare e il termoelettrico con CCS: il sistema 100% rinnovabili analizzato dallo studio ha costi totali LCOE inferiori del 30-40% rispetto a quelli stimati da altri studi per mix basati su atomo e impianti a gas e a carbone dotati di tecnologia per la cattura e il sequestro della CO2. “Un sistema basato al 100% su risorse rinnovabili è la reale opzione di policy”.